NEUROFILAMENTI: UN NUOVO BIOMARCATORE PER IL MONITORAGGIO DELLA MALATTIA

La sclerosi multipla (SM) è una patologia cronica la cui incidenza è sempre più frequente nei giovani adulti, e obiettivo principale di ogni neurologo dal momento della diagnosi è quello di trattare la patologia al fine di evitare future disabilità e far condurre ai pazienti una vita completamente normale. Tre quesiti rilevanti ai fini della prevenzione della disabilità sono ancora aperti:

  • quanto sia necessario trattare in maniera aggressiva il paziente al momento della diagnosi;
  • come monitorare con precisione l’attività di malattia;
  • come ottimizzare l’efficacia terapeutica.

In questo contesto è di fondamentale importanza sviluppare strumenti per prevedere il rischio di sviluppare la malattia, per diagnosticare con precisione la malattia, prevederne l’esito, per valutare più accuratamente l’attività della malattia ed infine per prevedere la risposta terapeutica.

I biomarcatori sono indicatori misurabili di un normale processo biologico, dell’evoluzione di una malattia o degli effetti di un intervento terapeutico.

Diversi biomarcatori diagnostici, prognostici e predittivi della risposta alle terapie sono stati suggeriti nella sclerosi multipla negli anni, e fra questi la risonanza magnetica (RM) dalla sua introduzione ha giocato un ruolo chiave in ognuno di questi aspetti, rivestendo un ruolo attualmente fondamentale sia per la diagnosi iniziale che per il monitoraggio successivo della malattia. Tuttavia, l’utilizzo esclusivo di biomarcatori neuroradiologici per la malattia presenta alcune limitazioni: la scarsa correlazione con la disabilità clinica, la necessità di utilizzo di mezzo di contrasto e gli elevati costi dell’esame sono fra i principali fattori che ne limitano un utilizzo più estensivo. Inoltre, la RM non fornisce informazioni circa i processi fisiopatologici alla base delle lesioni, cosa che, al contrario, è più probabile rilevare con l’utilizzo di un altro tipo di biomarcatori: i biomarcatori liquorali. Il liquido cefalorachidiano (CSF) infatti circola in prossimità di lesioni infiammatorie ed è anche mezzo di trasporto dinamico di sostanze che vengono attivamente secrete o rilasciate nel sistema nervoso centrale (SNC), rispecchiando più da vicino l’attività cerebrale biochimica e fisiologica. Inoltre, il traffico di linfociti e molecole pro o antinfiammatorie (citochine) suggestivi di infiammazione del SNC possono essere rilevati a livello liquorale. Per questi motivi, eventuali biomarcatori liquorali sarebbero potenzialmente ideali per il monitoraggio del processo patologico nella SM, ed il principale fra questi biomarcatori, la presenza di bande oligoclonali, sarà presto uno dei criteri diagnostici per la formulazione della diagnosi di malattia. Tuttavia, la raccolta di CSF è una procedura invasiva che coinvolge una puntura lombare e questo limita l’utilizzo di biomarker liquorali nel monitoraggio longitudinale della malattia.

Un biomarcatore sensibile, misurabile in maniera non invasiva per il paziente e non onerosa per il sistema sanitario, in grado di rilevare l’attività infiammatoria, così come il grado di neurodegenerazione e demielinizzazione / rimielinizzazione, sarebbe fondamentale al fine di ottenere un quadro più preciso dello stato della malattia.

Fino a poco tempo fa, nessun biomarcatore con queste caratteristiche era disponibile, ma recenti evidenze suggeriscono che i Neurofilamenti (Nf) possono essere il primo biomarcatore in grado di soddisfare questi requisiti.

I Neurofilamenti sono i principali costituenti proteici dello scheletro dei neuroni, ed hanno pertanto un ruolo importante nel mantenimento delle dimensioni e della forma neuronale. Diversi tipi di Nf costituiscono l’impalcatura dei neuroni, fra questi quelli a catena leggera (NfL) sono i più abbondanti ai quali altri Nf poi si legano (Nf a catena intermedia -150 kDa- e a catena pesante -200 kDa-). Dal momento che i Nf sono prodotti esclusivi di cellule neuronali, il loro vantaggio chiave rispetto ad altri biomarcatori è la loro specificità in quanto vengono rilasciati nel CSF a seguito esclusivamente di danno neuronale o morte/degenerazione neuronale.

Molti studi hanno riportato livelli elevati di NfL liquorali nelle forme iniziali di malattia (sindrome clinicamente isolata) ed in tutte le fasi della SM rispetto ai controlli sani. I livelli di NfL sono stati trovati aumentati nel corso di riattivazione di malattia ed in diversi studi è stata trovata una correlazione fra i livelli liquorali di NfL ed il successivo sviluppo di disabilità. Inoltre, I NfL liquorali sono stati dimostrati essere ancora un marcatore di risposte ai farmaci, dimostrando come l’effetto antinfiammatorio di molti farmaci attualmente utilizzati per la SM sia importante per prevenire la perdita neuronale a lungo termine.

Con l’avvento di tecniche sempre più sensibili per la determinazione dei NfL, è oggi possibile misurare i livelli di questo potenziale biomarcatore anche a livello sierico, una misura ottenibile pertanto in maniera non invasiva e relativamente economica. In particolare, in uno studio condotto in collaborazione con la Queen Mary University di Londra abbiamo dimostrato che i livelli di NfL sierici sono più elevati nei pazienti affetti da SM rispetto ai controlli sani. Nel corso di un altro studio, abbiamo riscontrato che i pazienti con livelli sierici di NfL più elevati dopo un primo episodio neurologico sono significativamente più a rischio di sviluppare la malattia rispetto a coloro che presentano livelli più bassi di NfL. In particolare, abbiamo riscontrato come i livelli di NfL possano prevedere anche l’evoluzione visiva dopo la neurite ottica, una malattia del nervo ottico legata alla SM. I pazienti con livelli di NfL più elevati all’inizio dell’episodio hanno mostrato una diminuzione della acuità visiva e un assottigliamento più rapido dello strato delle fibre nervose retiniche nel tempo. In un altro studio abbiamo valutato i livelli di NfL nei pazienti con sindromi radiologicamente isolate (RIS), una fase potenzialmente prodromica della SM. Abbiamo scoperto che i pazienti con livelli di NfL più elevati al momento della diagnosi di RIS erano più a rischio di sviluppare sintomi clinici o lesioni di SM attive nel corso del tempo.

Questo biomarcatore non si è dimostrato utile solo nella diagnosi iniziale di malattia, ma anche nel monitoraggio longitudinale della malattia e delle terapie. In uno studio condotto in collaborazione con l’ospedale di Bochum in Germania, abbiamo riscontrato come i pazienti affetti da SM ed in terapia con Natalizumab abbiano dei livelli similari di NfL sierici, livelli che aumentano di oltre 10 volte all’esordio di una delle più temute complicanze di questa terapia, la PML.

Diversi altri studi sono in corso per validare l’utilizzo di questo biomarcatore nelle diverse fasi di malattia, e, qualora il loro ruolo venga validato, questo può portare a scelte diagnostiche e terapeutiche sempre più accurate e costituire un importante passo in avanti verso un trattamento personalizzato della malattia.

Dr.ssa Gloria Dalla Costa

Neurologa

 

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