UTILITÀ DELLA VALUTAZIONE COGNITIVA DA REMOTO
È ormai riconosciuto che la presenza di deficit cognitivi sia una caratteristica tipica della Sclerosi Multipla. Con il termine “deficit cognitivo” si intende descrivere la presenza di difficoltà nello svolgere compiti che coinvolgono una o più funzioni mentali. Perché tali deficit acquisiscano rilevanza clinica, è necessario che essi determinino una riduzione della performance tale da causare difficoltà nello svolgimento delle attività nella vita di tutti i giorni. Un classico esempio sono i deficit di memoria, per i quali una persona potrebbe inizialmente manifestare difficoltà nel ricordare ciò che gli è stato detto pochi minuti prima, fino ad arrivare, – nei casi più estremi – a dimenticare anche gli eventi più importanti della propria vita. In altri casi, invece, i deficit cognitivi potrebbero manifestarsi soprattutto tramite un rallentamento della velocità con cui il nostro cervello elabora le informazioni (è questo il tipo di deficit più frequente nella Sclerosi Multipla), oppure tramite difficoltà nel mantenere l’attenzione focalizzata su un compito specifico, difficoltà nel tenere a mente un’informazione nel breve termine (ad esempio un numero di telefono da digitare), come anche la difficoltà nel trovare le parole giuste durante una conversazione, oppure di effettuare ragionamenti astratti e risolvere problemi.
Nella pratica clinica, i deficit cognitivi vengono esaminati mediante test neuropsicologici, creati e validati appositamente per indagare le diverse funzioni cognitive (memoria, rapidità di elaborazione delle informazioni, attenzione, linguaggio, ragionamento, ecc.). Affinché una valutazione neuropsicologica possa definirsi completa, è necessario effettuare un numero elevato di test per essere sicuri di aver valutato tutte le funzioni cognitive che potrebbero essere interessate dalla malattia. Di conseguenza, queste valutazioni hanno una durata piuttosto lunga (circa due ore) e, richiedendo un notevole sforzo mentale da parte del paziente, è spesso necessario dividerle in più sedute. Una volta effettuata la somministrazione dei test, il neuropsicologo procede alla valutazione dei punteggi ottenuti, andando a confrontare il punteggio “grezzo” del paziente con il punteggio medio che ci si aspetta da una persona di pari età e livello di istruzione (talvolta anche il sesso può influenzare il punteggio di alcuni test cognitivi). Una volta completata la correzione, viene steso un referto in cui si evidenzia se la performance nei diversi test sia risultata nella norma, oppure deficitaria (ad es., “memoria nella norma, attenzione deficitaria”). Considerato il notevole impegno in termini di tempo e di energie, sia da parte del paziente che da parte del neuropsicologo, è facile comprendere che questo tipo di valutazione può essere realisticamente effettuata soltanto una volta ogni 12 mesi, e comunque soltanto nei centri specializzati in cui vi sia una disponibilità di tempo e risorse organizzative adeguate.
Ad oggi, la pratica clinica prevede il monitoraggio dell’andamento del quadro cognitivo dei pazienti con Sclerosi Multipla attraverso la ripetizione di valutazioni tramite test cognitivi circa una volta all’anno. Questo permette, almeno in teoria, di effettuare un confronto dei punteggi nel corso del tempo e poter quindi evidenziare la presenza di peggioramenti tra una valutazione e la successiva, in maniera del tutto analoga a quanto previsto per il monitoraggio mediante esami strumentali come la risonanza magnetica. È facile intuire come questo approccio sia legato più a questioni di tipo organizzativo che a un solido razionale medico-scientifico. Si crea infatti un “buco nero” tra una valutazione e l’altra, poiché non si hanno informazioni circa l’effettivo andamento delle diverse funzioni cognitive nel corso dell’anno. Qualora il paziente stesso avvertisse un peggioramento soggettivamente rilevante a cavallo delle due valutazioni cognitive pianificate, dovrebbe riferirlo spontaneamente al medico curante, il quale dovrebbe valutare la necessità di ripetere la valutazione cognitiva prima del previsto. Quando invece emerge un peggioramento cognitivo alla valutazione di controllo, risulta pressoché impossibile determinare con certezza quando e come questo si sia determinato: si tratta di un processo subdolo e continuo nel corso dei mesi tra una valutazione e l’altra, oppure ha avuto un esordio repentino con decorso stabile? Questa informazione sarebbe estremamente utile per poter avere un’idea più precisa dei possibili processi di malattia in atto.
Gli sviluppi tecnologici dell’ultima decade potrebbero fornire una soluzione alle importanti problematiche discusse finora. Infatti, la diffusione oramai capillare di computer, tablet e smartphone, o più in generale di dispositivi capaci di connettersi a Internet, ha aperto le porte allo sviluppo di nuovi metodi di monitoraggio clinico. In seguito alla pandemia di COVID-19, l’utilizzo della tele-medicina sta acquisendo un ruolo sempre più di primo piano nella pratica clinica e nella ricerca scientifica. Per quanto riguarda la valutazione delle funzioni cognitive, diversi studi sono stati pubblicati (e altrettanti sono ancora in corso, tra cui una sperimentazione anche presso la Casa di Cura Igea nella struttura di Via Dezza a Milano), con lo scopo di validare delle versioni digitali dei test neuropsicologici più utilizzati in clinica. L’aspetto che rende particolarmente interessanti questi test cognitivi digitali è la possibilità di programmarli in modo da permettere ai pazienti di effettuarli in completa autonomia, direttamente da casa propria. Infatti, le istruzioni possono essere fornite tramite lo schermo (in forma scritta o tramite un videomessaggio), mentre i punteggi possono essere calcolati automaticamente e inviati direttamente al neurologo e al neuropsicologo una volta che il paziente ha completato il test. Questo determina una serie di importanti vantaggi: in primis, quello di rendere la valutazione delle funzioni cognitive immediatamente accessibile ad un numero molto maggiore di pazienti (si pensi ad esempio a chi vive in regioni più remote, o a chi ha importanti problemi di mobilità). Inoltre, rendendo la valutazione cognitiva più accessibile e semplice, diventa possibile aumentare la frequenza con cui questa viene effettuata. Ad esempio, lo studio che stiamo conducendo al momento prevede l’esecuzione di due test cognitivi (dalla durata complessiva di circa 20-30 minuti) una volta a settimana. È importante sottolineare, infine, che la possibilità di effettuare questi test in completa autonomia rimuove la necessità di programmare la loro esecuzione in un giorno specifico e ad un orario specifico: al paziente basterà sapere che deve effettuare il test in un determinato lasso di tempo, ma potrà programmare il momento esatto in base alle proprie disponibilità e con estrema flessibilità.
Questo nuovo approccio alla valutazione cognitiva, basato sull’esecuzione autonoma e da remoto tramite computer, tablet o smartphone, ha il potenziale di rivoluzionare l’approccio alla valutazione e al monitoraggio delle funzioni cognitive nei pazienti con Sclerosi Multipla. Infatti, la possibilità di effettuare valutazioni più brevi ma molto più ravvicinate (ad es. una volta a settimana o una volta al mese) permette di misurare l’effettivo andamento delle funzioni cognitive nel lungo periodo. Ciò fornisce non soltanto una soluzione ai problemi esposti in precedenza (ovvero la mancanza di informazioni oggettive tra una visita di controllo e la successiva), ma permetterebbe anche di rivoluzionare il metodo utilizzato per identificare la presenza di problemi cognitivi clinicamente rilevanti. Nello specifico, acquisirebbe maggiore rilevanza la valutazione della progressione dei punteggi ottenuti da ogni singolo paziente nel corso del tempo, piuttosto che il confronto tra il punteggio ottenuto dal paziente con un range di valori “normali” derivato dalla popolazione sana. Questo aspetto è particolarmente interessante, poiché l’approccio canonico basato sui valori di riferimento della popolazione sana presenta due importanti criticità: la prima consiste nel fatto che questi valori normativi devono essere costantemente aggiornati e rivisti periodicamente, in quanto l’età media e il livello di istruzione medio della popolazione evolvono costantemente (si pensi alla percentuale di laureati 20 anni fa, rispetto ad adesso); la seconda sta nel fatto che le nostre capacità mentali sono fortemente influenzate dall’evolversi dello stile di vita. Ad esempio, oggi siamo molto meno allenati a compiti di memoria, vista la possibilità di salvare e recuperare un numero illimitato di informazioni sui nostri smartphone, mentre stiamo diventando sempre più abituati ad eseguire diversi compiti contemporaneamente (il famoso multitasking).
Un ulteriore punto, di particolare rilevanza, nasce dalle osservazioni di diversi studi scientifici, che hanno evidenziato come la percezione soggettiva dei pazienti e i risultati oggettivi della valutazione cognitiva spesso non corrispondano. È piuttosto comune, infatti, che un paziente lamenti un peggioramento delle proprie funzioni cognitive, ma che i suoi punteggi ai test cognitivi effettuati in clinica risultino nella norma, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Questo è verosimilmente legato al fatto che la percezione soggettiva è basata sul confronto intra-personale nel corso del tempo (ad es., “qualche anno fa mi ricordavo molto meglio le cose”) e non sul confronto con la performance media delle altre persone. Per comprendere meglio il concetto, riflettiamo sulle sensazioni che si avvertono durante gli spostamenti: ciò che percepiamo maggiormente sono i cambiamenti di accelerazione (partenza, frenata, ecc.), mentre percepiamo molto più sfumatamente la velocità, quando questa rimane costante (si pensi al fatto che un aeroplano viaggia a centinaia di Km/h, ma chi è in cabina ha l’impressione di essere immobile). Allo stesso modo, siamo verosimilmente molto più sensibili ai cambiamenti che avvertiamo rispetto al nostro funzionamento abituale, piuttosto che alla nostra collocazione in un’immaginaria classifica della popolazione. Pertanto, è possibile che persone con elevati livelli di istruzione e abituati a svolgere lavori mentalmente impegnativi avvertano un peggioramento delle funzioni cognitive in atto, ma che i loro punteggi ai test risultino nella norma, poiché essi partono da un livello probabilmente superiore alla media. Allo stato attuale delle cose, questo progressivo deterioramento sarebbe oggettivabile soltanto dopo almeno due valutazioni che, come detto, avvengono in genere a distanza di un anno, per cui si genererebbe un grande ritardo nell’individuare un processo patologico in atto, che impedirebbe di intervenire in maniera tempestiva, verosimilmente con esiti peggiori.
Un ultimo vantaggio della valutazione cognitiva da remoto è la possibilità di registrare una quantità maggiore di dati, determinando un aumento della precisione dello strumento di misura. Infatti, allo stato attuale, lo status cognitivo di un paziente viene stimato quasi esclusivamente in base alla sua performance in una specifica sessione di valutazione. Ne consegue che diversi fattori possono influenzare l’attendibilità dei test somministrati. Ad esempio, un paziente potrebbe essere valutato in una giornata in cui è particolarmente stanco, oppure in concomitanza di un evento stressante (è noto che lo stato dell’umore influenza significativamente la performance ai test cognitivi), per cui i suoi punteggi potrebbero risultare deficitari in assenza di una reale compromissione delle funzioni cognitive legata alla malattia. Disporre, al contrario, di diverse valutazioni ripetute (ad es. 3-4 in un mese) permette di avere un’idea più precisa del reale livello di performance. Calcolare statistiche aggregate (ad es., la media dei punteggi ottenuti in un mese), infatti, permette di ridurre la possibilità di sovrastimare o sottostimare la reale performance del paziente. Inoltre, un punteggio estremamente basso rispetto agli altri potrebbe facilmente essere riconosciuto come un caso isolato e possibilmente influenzato da fattori esterni.
Per concludere, è bene menzionare alcuni aspetti critici della valutazione cognitiva da remoto che necessitano ancora un approfondimento estensivo, mediante appositi studi scientifici. In primis, una volta accertato che un test computerizzato può costituire una valida alternativa al classico test utilizzato in clinica e sulla base di cui è stato creato, è necessario valutarne l’attendibilità. Questo significa studiarne la capacità di restituire punteggi simili nel corso del tempo, ed è un concetto assimilabile alla precisione di un qualsiasi strumento di misura: pesando 1 Kg di pasta con la stessa bilancia per 10 volte, ci si aspetta di ottenere sempre lo stesso valore, o quantomeno un margine di errore insignificante. Un altro aspetto fondamentale è costituito dalla fattibilità del monitoraggio cognitivo da remoto. Con questo concetto si intende indagare l’effettiva praticabilità di una metodica: quanti sono i pazienti che effettivamente sono in grado di effettuare dei test cognitivi computerizzati in maniera autonoma e senza il bisogno di coinvolgere un professionista sanitario? Quanti pazienti hanno accesso a computer, smartphone e una connessione internet? Infine, quanti pazienti sono disposti a ripetere un test cognitivo, seppure breve e ipoteticamente facile da eseguire in autonomia, una volta a settimana o almeno una volta al mese? Tutti questi quesiti devono essere indagati mediante l’interazione con i pazienti, il cui feedback risulterà essenziale per poter determinare la possibilità di iniziare a implementare questo genere di valutazioni nella pratica clinica quotidiana, e non più solo a scopi di ricerca.
Dr. Michelangelo Dini – Psicologo
Università Vita-Salute San Raffaele