FAREMO DIAGNOSI DI SCLEROSI MULTIPLA PRIMA E IN MODO PIU’ ACCURATO
Dopo una lunga e accurata preparazione una cinquantina di esperti di tutto il mondo si sono trovati a Barcellona tra fine novembre e inizio dicembre per rivedere i criteri diagnostici di sclerosi multipla (SM). Si era cominciato con Schumacher nel 1965 con l’individuazione dei due cardini: la diagnosi richiedeva che il paziente avesse almeno 2 attacchi che avessero interessato 2 aree diverse del sistema nervoso. È stato merito di Poser nel 1983 aver introdotto l’importanza dell’esame del liquor per dimostrare la presenza di un processo infiammatorio a carico del sistema nervoso centrale e del ruolo dei potenziali evocati e del neuroimaging come supporto diagnostico di laboratorio. I criteri di McDonald del 2001 con le varie revisioni del 2005, 2010 e 2017 hanno visto come centrale il ruolo della risonanza magnetica, per la sua sensibilità nel rivelare la presenza di lesioni subcliniche, mantenendo fermo il concetto della necessità che vi fosse una evidenza di presenza di lesioni in almeno 2 delle quattro sedi prese in considerazione: iuxta corticale/corticale, periventricolare, sottotentoriale e midollare. Nei criteri del 2017, contribuivano a dimostrare la disseminazione spaziale sia lesioni sintomatiche che asintomatiche ed inoltre veniva come meno essenziale il criterio della disseminazione temporale in quanto la positività dell’esame del liquor poteva sostituire la necessità di un secondo attacco o della presenza contemporanea a un esame di risonanza magnetica di lesioni attive e inattive o dalla comparsa di lesioni attive a una seconda risonanza magnetica. Ovviamente la presenza di bande oligoclonali aveva poco a che vedere con la disseminazione temporale, ma in qualche modo contribuiva ad aumentare la specificità. I temi da rivedere sono stati numerosi e sono riassunti nella tabella 1. È stata usata una metodologia predefinita per definire il consenso sui vari punti che per essere accettati dovevano avere il supporto di almeno l’80% dei votanti.
Il fatto che il concetto di disseminazione temporale dovesse essere rivisto nasceva in particolare dall’osservazione che nelle sperimentazioni cliniche effettuate nei pazienti con sindromi clinicamente isolate in osservazioni di 2 anni, più del 80% avevano evidenza di un secondo attacco o di nuove lesioni. Un’altra importante area di revisione è quella della necessità che vi sia una manifestazione clinica perché possa essere formulata la diagnosi di sclerosi multipla. Il fatto che nel contesto di multiple lesioni che interessino più aree del sistema nervoso centrale ci sia stata una lesione che si sia tradotta in un evento clinicamente rilevante dipende unicamente dalla sede della lesione, dalle sue dimensioni e dall’entità del danno strutturale provocato. In condizioni in cui le lesioni abbiano caratteristiche qualitative tipiche di SM, vi sia una evidenza di disseminazione spaziale (magari con criteri più stringenti), un esame liquorale indicativo di un processo infiammatorio intratecale e la diagnosi differenziale abbia consentito di escludere altre patologie, non si capisce perché non si possa formulare la diagnosi di SM ed eventualmente iniziare una terapia.
Già in occasione della formulazione dei criteri diagnostici del 2017 vi era stato un acceso dibattito sull’estendere o meno al nervo ottico il numero di aree per la disseminazione spaziale. Alla fine, la decisione fu negativa per la mancanza di sufficienti evidenze epidemiologiche. Queste evidenze si sono andate accumulando nel corso di questi ultimi anni, sono migliorate le tecniche di risonanza magnetica per lo studio del nervo ottico, sono stati meglio definiti i criteri di anormalità di un esame di tomografia ottica computerizzata e sono aumentati anche gli studi sull’utilità dei potenziali evocati visivi. Le evidenze così accumulate indicano che l’inserimento del nervo ottico come quinta sede per la dimostrazione della disseminazione spaziale comporterebbe un incremento di sensibilità, seppur modesto, senza una riduzione della specificità.
È stato infine affrontato il capitolo di come gli aspetti qualitativi delle lesioni potrebbero contribuire a migliorare il processo diagnostico grazie alle molteplici evidenze recenti. Due aspetti sembrano di particolare potenziale utilità: il segno centrale della vena e la presenza di lesioni con anello periferico intenso paramagnetico. Gli studi istologici hanno da molto tempo dimostrato che la lesione che caratterizza la sclerosi multipla vede un infiltrato di globuli bianchi, prevalentemente linfociti distribuiti intorno a una piccola vena da cui sono appena fuorusciti. Questo si può osservare mediante risonanza magnetica usando appropriate sequenze. Questo tipo di lesioni si osserva quasi esclusivamente nella SM e una percentuale o un numero assoluto di discreta entità può garantire sulla realtà dell’osservazione e contribuire alla certezza diagnostica, anche in fase precoce. Gli anelli ipointensi perilesionali sono considerati corrispondere alle lesioni cronicamente attive osservate in patologia, non sono molto frequenti soprattutto nelle fasi iniziali di malattia, ma se osservati orientano fortemente verso una diagnosi di sclerosi multipla.
Il lavoro di rifinimento dei nuovi criteri diagnostici è ancora in corso e i risultati verranno comunicati al prossimo congresso ECTRIMS di Copenaghen di settembre, ma appare chiaro che la comunità scientifica riconosce l’importanza di una diagnosi precoce al fine di combattere la malattia in una fase in cui non ha ancora consolidato la sua presenza nel corpo.
Tabella 1
Prof. Giancarlo Comi
Dipartimento di Scienze Neuroriabilitative Casa di Cura Igea S.p.A.
Università Vita Salute San Raffaele