Trascrizione dell’intervento del Professor Giancarlo Comi tenutosi il 19 dicembre 2009
Resoconto dell’intervento del Prof. G. Comi all’incontro ACeSM del Natale 2009
Carissimi Pazienti e Familiari sono appena atterato a Linate proveniente da Catania e temevo, visto il maltempo e la neve, di non riuscire ad arrivare. L’incontro di Natale è ormai una tradizione a cui tengo molto perché se da un lato mi consente di aggiornarVi sulle novità relative alla Sclerosi Multipla dell’anno che si va concludendo, dall’altro la Vostra intensa partecipazione è un’iniezione di energia per me e i miei collaboratori.
Vedo numerosi volti noti, e anche in quest’anno dividerò il mio intervento in due parti. Nella prima racconterò le novità in ambito scientifico riguardo alla Sclerosi Multipla, nella seconda risponderò alle Vostre domande.
Nell’enunciare i successi della Ricerca partirò dalle scoperte sulle basi della malattia, poi passerò alle novità in merito alla terapia, che so essere ciò che più interessa.
Nel fare ciò sottolineerò anche il fondamentale contributo dato dai ricercatori del Centro SM del San Raffaele nell’ottenere tali progressi.
Si sa che la Sclerosi Multipla è legata a fattori genetici che predispongono alla malattia. Un padre e una madre non trasmettono al figlio la malattia, ma una tendenza ad essere suscettibile ad ammalarsene. In effetti un figlio di una persona con SM ha un rischio di avere anch’egli la malattia circa 20 volte superiore a chi non ha genitori affetti. Questo però, se si considera quanto è frequente la malattia, si traduce in un rischio generale basso, circa di 1/100. In pratica un neonato che nasce da un padre o una madre con Sclerosi Multipla ha una probabilità più alta di avere una malformazione di qualunque tipo, piuttosto che di ammalarsi di SM.
Ci tengo ad evidenziare questo dato perché una delle domande più frequenti che mi sento fare è se la SM è un motivo per non avere figli. La risposta è no. Il rischio che il figlio si ammali della stessa malattia del genitore è -abbiamo visto- basso e inoltre, se dovesse comunque succedere, accadrà tra anni, quando il problema SM sarà sempre più facile da affrontare, magari addirittura sarà risolto.
In questi mesi è nato un Consorzio mondiale di genetica: una ventina di Centri per lo studio della SM distribuiti in tutto il mondo si sono consociati e hanno messo in Rete le loro banche-dati genetiche. Occorre che una ricerca del genere, che mira a capire quali sono i fattori del DNA alla base della malattia, venga condotta da molti Centri, perché per evidenziare i fattori di rischio genetico bisogna confrontare un’enorme quantità di campioni di DNA di ammalati con altrettanti campioni di soggetti che non hanno la SM.
Da pochi giorni sono disponibili i risultati di uno studio che ha confrontato il patrimonio di geni di 20000 pazienti con la Sclerosi Multipla e 20000 soggetti sani. I fattori in gioco finora emersi sono una decina, e quasi tutti hanno a che fare con il sistema immunitario, cioè quel sistema che difende il corpo dalle infezioni ed aiuta l’organismo a far sì che non si sviluppino tumori. Nella malattia questo sistema impazzisce e aggredisce la mielina, scambiandola per un germe. La tendenza ad ammalarsi è certamente legata a differenze nello sviluppo di questo sistema immunitario.
La malattia è probabilmente legata a qualcosa nell’ambiente (probabilmente uno o più virus) che di per sé non dà la SM, ma -in persone che hanno una particolare conformazione nel sistema immunitario- può far appunto “impazzire” il sistema e portare alla SM.
In ambito genetico il contributo dei ricercatori del San Raffaele è stato importante. Il Dr. Filippo Martinelli Boneschi ha scoperto un gene che aumenta il rischio di ammalarsi della forma di SM detta “primariamente progressiva”; la Dott.ssa Federica Esposito ha invece evidenziato uno dei geni coinvolti nella forma “a ricadute e remissioni”, il lavoro scientifico è stato sottoposto per la pubblicazione su una prestigiosa rivista.
Negli ultimi anni la Sclerosi Multipla è in aumento, soprattutto nelle donne.
Agli inizi del 900 il rapporto tra uomini e donne affetti da SM era 1 a 1. negli ultimi decenni si è spostato, con due donne ammalate per ogni uomo affetto. Negli ultimi anni si è assistito ad un ulteriore aumento di questa proporzione: attualmente a 2,3 donne per ogni uomo.
Perché sta avvenendo ciò? Il sistema immunitario si conforma diversamente, oltre che per questioni genetiche, anche per diversi comportamenti, stili di vita. Ad esempio il fumo è uno dei fattori che possono influenzare l’azione del sistema immunitario. Numerosi studi hanno dimostrato che il fumo è un fattore di rischio per la malattia, e negli ultimi decenni -e in misura più marcata negli ultimi anni- il fumo è in calo tra gli uomini e in aumento tra le donne.
Riguardo al fumo quindi si può dire che comunque fa male, ai pazienti con Sclerosi Multipla sia perché intacca l’efficienza del corpo, (più si fuma, peggiori saranno le performances fisiche), sia perché aumenta il rischio di ammalarsi di SM.
Un altro fattore che potrebbe contribuire ad aumentare il rischio di ammalarsi di SM è il miglioramento delle condizioni igieniche ed è comune anche ad altre patologie cosiddette “autoimmuni” come l’Artrite Reumatoide, il Diabete o il Lupus Eritematoso. Tutte queste patologie sono attualmente più frequenti rispetto al passato, di pari passo con una riduzione in frequenza delle infezioni. In pratica meno ci ammaliamo di patologie infettive più ci ammaleremo di malattie autoimmuni (è come se tutto fosse stato architettato per continuare a dare lavoro agli ospedali). Il sistema immunitario per funzionare in maniera ottimale deve essere allenato. Questo allenamento soprattutto deve avvenire in età infantile Più, da bambini, il sistema immunitario avrà combattuto virus e batteri, meno sarà tendente, come detto prima, ad impazzire e portare ad una patologia autoimmune. Al giorno d’oggi viviamo -soprattutto nei primi anni di vita- in un ambiente molto controllato dal punto di vista igienico e di conseguenza abbiamo meno infezioni. Per il miglioramento delle condizioni igieniche (per esempio -banalmente- ci si lava di più le mani) e grazie all’uso degli antibiotici il nostro Sistema Immunitario è facilitato nella lotta contro gli agenti infettivi, ma in questo modo non riesce ad imparare bene quali entità sono nemici del corpo e quali sono parti di esso. Questa per il momento è una teoria, ma appoggiata su basi solide.
Altri fattori ambientali imputati nello sviluppo della SM sono determinati virus, in particolare un indiziato speciale negli ultimi anni è stato il Virus di Epstein Barr (o EBV), chiamato così dal nome del medico che per primo lo ha descritto. Questo virus è il responsabile della cosiddetta “malattia del bacio”, la mononucleosi, una malattia banale, che colpisce circa l’85% delle persone. In passato si è visto che i pazienti con SM quasi sempre avevano avuto nella loro vita un contatto con EBV, e per questo si è pensato che EBV potesse essere il responsabile della Sclerosi Multipla. Inoltre recentemente una ricercatrice italiana dell’Istituto Superiore di Sanità, la Dott.ssa Francesca Aloisi, aveva identificato il virus EBV nell’encefalo di pazienti sottoposti ad autopsia o biopsia cerebrale .
In realtà è novità di quest’anno la non-conferma di questi risultati. Ricercatori europei a Cambridge e a Dusseldorf hanno effettuato gli stessi studi su altri pazienti e non hanno raggiunto gli stessi risultati.
Un altro aspetto dell’ambiente che può contribuire a determinare la SM è la scarsa esposizione al sole. La Sclerosi Multipla è molto frequente nel Nord Europa, per esempio in Svezia, in Finlandia o nel Nord dell’Inghilterra, Paesi in cui le ore di sole sono inevitabilmente minori. Prendendo invece in considerazioni Paesi più a Sud si nota che la malattia diventa sempre più rara.
Sembrerebbe quindi che chi prende più sole sia meno esposto alla malattia. Tale dato potrebbe essere legato al fatto che il sole è molto importante nel metabolismo di una vitamina: la Vitamina D. Tale sostanza infatti ha bisogno della luce del sole per attivarsi e svolgere la sua funzione. Chi è meno esposto al sole ha meno attività della Vitamina D nel corpo e potrebbe essere più esposto alla malattia.
Recentemente uno studio francese ha mostrato che la Sclerosi Multipla è più rara in quelle aree della nazione che si affacciano sull’Atlantico o sul Mediterraneo rispetto alle zone dell’interno della Francia. Questo dato potrebbe correlare con l’esposizione al sole, più alta nelle zone di mare. Un altro studio, pubblicato pochi mesi fa, ha dimostrato che effettivamente la vitamina D gioca un ruolo nella comparsa della SM. Per essere protetti dalla malattia occorre essere sufficientemente esposti al sole, assumere sufficienti livelli di Vitamina D e avere un corredo genetico che consenta di utilizzare meglio la vitamina D disponibile.
Ancora una volta è l’interazione tra patrimonio genetico e fattori ambientali a determinare una tendenza a sviluppare la malattia.
Le ricerche nel campo della Sclerosi Multipla si concentrano anche su un altro aspetto: capire come la malattia danneggi il sistema nervoso e perché in pazienti diversi i danni avvengano in maniera diversa. In altre parole si vuole comprendere come le lesioni della malattia si traducono nei sintomi e, soprattutto, quali sono i fattori che fanno sì che la malattia evolva diversamente da paziente a paziente.
Il gruppo di ricercatori del Dr. Filippi ha effettuato quest’anno degli studi che hanno confrontato pazienti giovani e adulti con SM a soggetti giovani e adulti senza la patologia. Con tecniche specifiche di Risonanza magnetica è stata misurata l’entità del danno dei circuiti del sistema nervoso che fanno parlare, camminare, vedere. Si è visto che tanto più grave è la sintomatologia del paziente, tanto maggiore è il danno a carico delle vie corrispondenti. Si è anche visto che il nostro cervello ha una grandissima capacità di plasticità, cioè, anche se una via è danneggiata (ad esempio il nervo ottico che fa parte delle vie della vista) il cervello compensa facendo lavorare oltre alle zone del cervello deputate all’analisi visiva anche zone accessorie che normalmente non hanno questo compito o lo hanno in modo limitato.
Esiste una tecnica di Risonanza magnetica che permette di vedere quali aree del cervello sono in funzione mentre si esegue un determinato compito: in pratica sulla RM si vedono aree cerebrali che si “accendono” quando sono in funzione. Dagli studi effettuati emerge quindi che una persona con SM, rispetto a un soggetto sano di pari età, deve “accendere” più zone del cervello per eseguire un compito, in modo da compensare il danno nelle aree colpite dalla malattia. Questa capacità di compenso è tanto maggiore quanto più il paziente è giovane, ma purtroppo la plasticità ha dei limiti e non può compensare danni molto gravi. In pratica queste tecniche di RM consentono di vedere all’interno del cervello quali sono i componenti che non stanno funzionando a dovere, come se un meccanico aprisse il motore e vedesse quali ingranaggi sono danneggiati, e facesse un intervento mirato per ripararli. Al San Raffaele l’intervento di riparazione è svolto grazie ad un team di Neurologi e Neurofisiologi, in particolare ricordo la Dott.ssa Leocani, il Dr. Comola e il Dr. Rossi, che grazie alla citate tecniche di RM, ma anche a tecniche di neurofisiologia, sono in grado di eseguire un mappaggio del danno e di trasmettere le informazioni necessarie all’equipe di fisioterapisti, coordinata dal dr. Gatti, per una riabilitazione mirata. Da queste ricerche si è visto anche che con la riabilitazione ci si allena a far funzionare meglio il cervello, cioè ad ottimizzare, a seconda del danno, le zone che dovranno entrare in azione, per ottenere la migliore performance senza sprecare energia.
Da quanto detto finora appare chiaro che più il paziente è giovane minori sono i danni nervosi subiti, migliori e più efficienti saranno i meccanismi di compenso.
Questi riscontri sono un ulteriore elemento di supporto all’importanza della terapia precoce.
A questo punto passo ad affrontare l’argomento che più Vi sta a cuore, cioè le novità in ambito di terapia.
Nell’incontro dell’anno scorso avevo già anticipato che ci avvicinavamo a risultati molto interessanti in ambito terapeutico e il 2009 ha pienamente confermato leaspettative. Due nuove medicine hanno concluso il loro iter sperimentale e sono al vaglio delle autorità statunitensi ed europee per essere commercializzate. Qualunque medicina infatti prima di essere resa disponibile per tutti i malati deve compiere un percorso sperimentale molto lungo in cui si dimostri che produce effetti positivi e non produce effetti negativi eccessivi, e che il bilancio tra benefici ed effetti collaterali sia a favore dei primi. Tale percorso -se alla fine dà esito positivo- porta a sottoporre i risultati delle ricerche ai principali enti governativi per ottenere il permesso di mettere in commercio il nuovo farmaco. Un farmaco non si inventa quindi in poco tempo, da quando viene concepito a quando arriva al malato passano in media 10-12 anni.
Le due medicine in arrivo si chiamano Cladribina e Fingolimod, entrambe hanno dimostrato di avere una efficacia circa doppia rispetto ai tradizionali Copaxone o Interferone e -vantaggio importante sul piano pratico- sono entrambi farmaci che si assumono per bocca.
La Cladribina addirittura non si assume tutti i giorni ma a cicli di 5 giorni alla settimana per le prime 2 o 4 settimane del primo mese e del secondo mese di un anno. Per il resto dell’anno non si deve assumere terapia. L’efficacia dura più di un anno, e abbassa molto il livello dei globuli bianchi. Questa azione però avviene in maniera molto diversa da quanto accadeva con i “vecchi” immunosoppressori (ad esempio Mitoxantrone –la flebo azzurra che molti pazienti hanno fatto- Ciclofosfamide o Azatioprina). L’immunosoppressione della Cladribina è più selettiva, agisce solo su alcuni globuli bianchi, i linfociti, diretti responsabili della malattia, e non agisce indiscriminatamente su altri organi come il cuore, il fegato, la vescica, che invece potevano essere danneggiati dagli immunosoppressori di vecchia generazione.
Al San Raffaele sono ancora in corso le sperimentazioni su questi nuovi farmaci, e forse qualcuno dei presenti è coinvolto. I pazienti che assumono da più tempo la Cladribina la assumono da circa 4 anni e il Nostro centro è stato uno dei pionieri nello sviluppo di questa terapia.
La Cladribina sarà disponibile nella seconda parte del 2010, dipende da quanto rapido sarà l’iter burocratico di sottomissione alle autorità. In Italia sarà necessario un po’ più di tempo, perché occorrerà attendere dopo l’approvazione europea anche quella delle autorità sanitarie nazionali.
A fianco di queste due nuove terapie ne esiste una già disponibile, il Tysabri (o Natalizumab) altrettanto efficace. Si tratta di una flebo che si somministra una volta al mese, è molto potente ma non è esente da rischi. Questa è una regola generale che vale per ogni terapia, non si può agire con farmaci così potenti senza correre qualche rischio. Ecco perché è importantissimo che queste terapie siano gestite da mani esperte.
Il principio fondamentale è che questa malattia va attaccata duramente fin dall’inizio, mio padre diceva che se una pianta viene fatta crescere storta non si raddrizzerà più. Non va lasciato spazio alla malattia. Questo ora è un concetto accettato più o meno ovunque, anche se qualcuno è arrivato più tardi di altri a mettere in pratica questo principio. Occorre qui sottolineare che l’arrivo dei nuovi trattamenti non cancellerà l’uso delle terapie attuali.
Le medicine cosiddette vecchie, il Copaxone e l’Interferone, hanno un grosso vantaggio: danno qualche fastidio, ma sono super sicure. Sono certamente in media meno potenti delle nuove ma c’è chi già risponde molto bene solo con Interferone o Copaxone. Ricordiamo sempre che in questi casi non serve assumere delle medicine più forti e però più rischiose. Le scelte terapeutiche vanno discusse col malato, analizzando tutti gli aspetti e non solo quello del vantaggio della via di somministrazione.
Uno studio coordinato dal S. Raffaele che ha coinvolto i centri SM dell’ospedale Giglio di Cefalù e dell’Ospedale di Gallarate ha mostrato che nei primi due anni di terapia il 70% dei pazienti trattati con Tysabri sono liberi dalla malattia, sia dal punto di vista dell’assenza delle ricadute che dal punto di vista della stabilità della RM. Inoltre se si considerano quei pazienti che superano bene i primi 6 mesi di terapia la percentuale di libertà dalla malattia sale da 70% a 85%. (Questo accade perché una piccola percentuale delle persone trattate con Tysabri nei primi mesi di terapia sviluppa degli anticorpi contro il farmaco e non risponde alla cura). Se invece che di SM stessimo parlando di una patologia tumorale potremmo dire che più di 2/3 dei pazienti hanno una remissione della malattia. Se questa guarigione sarà totale e definitiva non si può dire, ma intanto incassiamo un risultato stupefacente. Infatti, rispetto a 10 anni fa quando ci si accontentava di una riduzione nelle ricadute del 30%, i parametri per giudicare una terapia efficace sono completamente cambiati. Non si tratta più per ottenere una riduzione delle ricadute, ma per fare stare completamente bene il paziente, e questo è un cambiamento epocale.
Questo è il nostro regalo di Natale per oggi, la consapevolezza che non è stata vinta la guerra, ma è stata vinta una battaglia importante.