TRASCRIZIONE INTERVENTO PROF. COMI IL 20 DICEMBRE 2014
Grazie a tutti voi, pazienti, familiari, amici dell’ ACeSM per essere venuti così numerosi a questo tradizionale ’appuntamento in occasione delle feste natalizie, un incontro che se da una parte ci consente di aggiornarvi sui più recenti sviluppi in ambito di sclerosi multipla, dall’altro ci fa sentire la vostra vicinanza e partecipazione nella lotta contro questa malattia.
Questo è stato un anno speciale per molti motivi. Il primo motivo ha a che vedere con un aspetto veramente concreto. Sapete che nel 2013 abbiamo avuto un cambiamento di amministrazione del San Raffaele. Questo ospedale di ricerca, nato grazie una rivoluzionaria intuizione del suo fondatore, Don Luigi Maria Verzè, che lo ha portato all’avanguardia nel mondo in ambito di ricerca medica, era andato incontro a una drammatica crisi finanziaria. Come sempre succede, i sogni devono poggiare su qualcosa di solido e di concreto e la nuova amministrazione che è subentrata alla Fondazione San Raffaele, il Gruppo San Donato del professor Rotelli è riuscita con grande rapidità ed efficienza a ridare alla struttura un equilibrio finanziario che gli consente di guardare al futuro con ritrovata serenità. Spero che questa sicurezza sia stata percepita anche all’esterno. Il San Raffaele è oggi un Ospedale di ricerca che opera in stretta armonia con l’Università Vita Salute, al primo posto nel paese sia per quanto concerne gli aspetti della qualità dell’assistenza che della ricerca. Si tratta di un piccolo miracolo italiano, che speriamo serva in un momento così delicato per il Paese a creare delle speranze e delle concretezze simili. Il secondo motivo, ma che è legato al precedente, è che la concretezza si è espressa per noi nella possibilità di avere finalmente, dopo tanti anni di tentativi, un nuovo Centro Sclerosi Multipla che inaugureremo tra pochi minuti, alla fine di questa conferenza. Siete tutti invitati perché quella è casa vostra e l’abbiamo pensata grazie anche al contributo di alcuni di voi, perché fosse disegnata, organizzata, arredata con l’attenzione giusta a tutta una serie di dettagli. Oggi non vedrete questi dettagli, in quanto gli arredi non sono ancora completati. Questo nuovo assetto ci consente di far fronte alle nuove sfide di cui ora traccerò le linee principali. Innanzitutto, fare oggi una diagnosi precoce e fornire una terapia precoce adeguata e personalizzata, non dipendono solo dalla bravura dei ricercatori e dei medici, è anche un problema di organizzazione, senza la quale non si riesce a fornire un’assistenza che sia di qualità accettabile. Innanzitutto il nuovo centro disporrà di un’area molto più ampia dell’attuale con 6 ambulatori e un centro infusionale e di monitoraggio con 8 letti. L’area di attesa sarà ampia e dotata di tutti i confort. Nella struttura opereranno in modo armonico varie figure, infermieri, impiegati, psicologi, neurologi ed altri specialisti che da molti anni lavorano in modo integrato. La dottoressa Lucia Moiola, responsabile del centro, ha lavorato moltissimo alla sua realizzazione, e la ringrazio per il suo impegno. Contiamo molto sui vostri suggerimenti per migliorare i processi che non fossero ottimali. Non esitate ad avanzare critiche e osservazioni, perché solo così possiamo migliorarci e correggere gli errori, che sono sempre presenti, anche quando si hanno le migliori intenzioni.
L’inaugurazione del nuovo Centro SM, ampliato e potenziato, arriva in un momento di grande sviluppo della terapia relativa alla malattia. Nuovi farmaci sono in arrivo e per quelli già in uso si va meglio definendo il profilo di efficacia e sicurezza. E’ globalmente migliorata la nostra comprensione della dinamica della malattia e di come affrontarla. Per fronteggiare con successo una malattia bisogna conoscerne a fondo i meccanismi evolutivi, i suoi punti di forza e di debolezza. Cominciamo a conoscere i fattori che influenzano l’attività della malattia. La novità da questo punto di vista, che sembrerebbe quasi banale, era stata accennata l’anno scorso, ma si è concretizzata quest’anno è il ruolo del sale, il cloruro di sodio. Un eccesso di sale nella dieta si aggiunge alla carenza di vitamina D nell’esporre a un rischio di ammalare di sclerosi multipla. Il Dottor Vittorio Martinelli, che è uno dei nostri ricercatori senior e responsabile dell’unità di Neurologia, è stato uno dei primi al mondo a mettere in evidenza come nelle fasi iniziali di malattia i livelli ridotti nel sangue di vitamina D siano tra i fattori che espongono ad un rischio aumentato di andare incontro ad un primo attacco di questa malattia. I livelli di sale influenzano l’attività del sistema immunitario e interagiscono con un altro importantissimo fattore recentemente rivelatosi di grande rilevanza nelle malattie immunitarie: il micro bioma, cioè l’ambiente dei microbi che stanno nell’intestino. Nessuno di questi fattori è singolarmente in grado di provocare la malattia, ma ognuno contribuisce a incrementare o ridurre il rischio di ammalare. Oltre a questi tre citati, il fumo è un altro fattore particolarmente sotto accusa. Il fumo è stato in passato un vizio tipicamente maschile, ma negli ultimi anni è dilagato nel sesso femminile e questo è uno dei fattori per cui la malattia oggi sta aumentando di frequenza nelle femmine, non nei maschi. Sono tutti fattori di rischio modificabili e nel prossimo futuro sapremo anche come influenzare l’ambiente microbico intestinale. Come abbiamo ricordato negli incontri degli anni scorsi il rischio di ammalare oltre che a fattori ambientali è legato anche ad aspetti di tipo genetico. Questo non significa che se un padre o una madre è affetto dalla malattia il figlio abbia una forte probabilità di ammalare di sclerosi multipla. Il rischio è modesto: è stato stimato che il figlio di una persona che ha questa malattia, rispetto al figlio di chi non ce l’ha, presenta un rischio 20 volte maggiore di sviluppare la Sclerosi Multipla. Ma tradotto in cifre ciò corrisponde a un rischio di 1 figlio ammalato ogni 50 generati! Quale gene determina questa probabilità? Non ce n’è solo uno, ne sono stati scoperti già 130. Nel nostro Centro il Dr. Filippo Martinelli Boneschi e la Dr.ssa Federica Esposito fanno parte di un consorzio mondiale per lo studio della genetica della malattia e hanno contribuito a scoprire alcuni di questi geni. Come per i fattori ambientali nessuno di questi geni può da solo determinare la comparsa della malattia. Qualcuno potrebbe allora chiedere: se i geni sono tantissimi, qual’è il vantaggio di individuarli? Il vantaggio è che si va a vedere qual’è la funzione di quel gene, si può capire quali alterazioni dei normali processi biologici contribuisce a provocare la malattia e questo può farci individuare i nuovi bersagli terapeutici.
Un aspetto della malattia che ha sempre destato un notevole sconcerto è la imprevedibilità degli attacchi. La risonanza magnetica ha in parte dissipato questo mistero. Ripetendo lo studio del cervello e del midollo spinale con questa importante apparecchiatura è emerso che un attacco è spesso preceduto dalla comparsa di nuove lesioni. Il professor Massimo Filippi col suo gruppo di ricerca ha scoperto che la presenza di una o più lesioni midollari in pazienti che hanno presentato un primo attacco suggestivo di sclerosi multipla hanno un rischio accresciuto di sviluppare precocemente la malattia in forma conclamata. Un’altra tecnica messa a punto da questo gruppo di ricercatori è un modo più preciso di misurare il volume del midollo spinale a livello cervicale. Perché misurare questo parametro? Il midollo spinale è un insieme di cavi che connettono il cervello con i muscoli delle braccia e delle gambe, una specie di punto di transito di tutti i comandi che dalla nostra centralina vanno al corpo. Quindi è chiaro che una piccola alterazione, un piccolo danno che avviene in una struttura che ha un diametro della dimensione più o meno di una moneta da due euro può determinare guai grossi, che qualcuno di voi ha purtroppo dovuto patire. Quindi riuscire a misurare esattamente quanto è stata danneggiata questa struttura è molto importante, come è altrettanto importante misurare quanto il cervello abbia globalmente risentito di questa malattia. Gli studi su un farmaco, Fingolimod, hanno riportato in auge questo tipo di valutazione in quanto il farmaco è risultato efficace nel prevenire l’atrofia cerebrale. Gli studi effettuati da vari gruppi di ricerca hanno documentato che il nostro cervello inizia a diminuire di volume già verso i 40 anni, un processo che risulta accentuato nelle persone affette da patologie neurodegenerative come la sclerosi multipla. L’atrofia cerebrale, espressione della perdita di neuroni, non si riflette necessariamente in una diminuzione delle funzioni nervose in quanto può essere compensata da una migliore efficienza dei collegamenti tra centri nervosi, un fenomeno alla base della plasticità cerebrale. Ciò avviene continuamente nel nostro cervello ed è fortemente influenzato dalla ricchezza degli stimoli a cui siamo esposti. In qualche modo se leggiamo, andiamo a teatro, ma anche facciamo sport, incontriamo persone ci creiamo una riserva cognitiva da spendere quando l’età ci porterà una progressiva riduzione dei nostri preziosi neuroni. Questa riserva cognitiva si rivela particolarmente utile nelle malattie neurodegenerative. Alcuni nostri ricercatori del gruppo del prof. Filippi, in particolare le dottoresse Maria Assunta Rocca e Federica Agosta, in collaborazione con ricercatori statunitensi, hanno dimostrato che a parità di quantità di lesioni e livello di atrofia cerebrale presenti in pazienti con sclerosi multipla le prestazioni cognitive venivano meglio preservate nei pazienti che avevano maggiori stimoli intellettuali. Misurare come cambia il volume cerebrale nel corso della malattia o a seguito di trattamenti è inoltre molto importante, perché è un modo per valutare se la terapia è efficace.
Ci sono poi due altre grandi novità dal punto di vista delle conoscenze su questa malattia. Sappiamo bene quali siano i meccanismi in gioco nel provocare danni nervosi nelle fasi iniziali della malattia, nella cosidetta forma a ricadute e remissioni, ma non conosciamo altrettanto bene le cause che stanno alla base della fase progressiva di malattia, quando il paziente comincia a peggiorare, talvolta in modo impercettibile, talvolta più rapidamente. La scarsità di conoscenze sui fattori che condizionano questa fase della malattia comporta anche una povertà degli strumenti terapeutici; per questo è oggi necessario un approccio speciale. L’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) insieme alle associazioni americana, inglese, olandese e canadese ha lanciato un programma strategico e estremamente ambizioso denominato Progressive MS Alliance (Alleanza per la Sclerosi Multipla Progressiva). Questa iniziativa è enorme, sono stati già raccolti e finanziati a scopo di ricerca ben 26 milioni di euro. Si è deciso quindi di mettersi insieme e fare squadra per avere dei risultati più concreti. La Progressive MS Alliance ha avuto un anno e mezzo fa la sua prima riunione mondiale, proprio nell’Aula Magna di questo ospedale dove ci incontriamo oggi, al quale hanno fatto seguito una serie di attività, tra le quali un incontro pochi giorni fa a Londra con le case farmaceutiche che producono o hanno allo studio farmaci per la sclerosi multipla. Un incontro molto importante perché per poter sviluppare una nuova medicina che sia funzionante è stato stimato che occorre investire non meno di 500 milioni, quindi è chiaro che anche il centro di ricerca più all’avanguardia non potrà neanche lontanamente immaginare di far questo da solo, quindi è fondamentale che ci sia un accordo tra i ricercatori da un lato e le case farmaceutiche dall’altro. Non è stato facile raggiungere questo risultato. Il San Raffaele è davvero orgoglioso, perché il primo incontro scientifico per promuovere l’iniziativa si è tenuto in questa sala, è un’iniziativa che ha visto nell’’AISM uno dei principali protagonisti. Vorrei ringraziare per questa iniziativa in particolare una persona, la dottoressa Paola Zaratin, coordinatrice delle ricerca in FISM, che ha messo tutta la propria professionalità e energia in questa iniziativa . Purtroppo – a sottolineare, se ce ne fosse stato bisogno, l’importanza della Progressive MS Alliance – è il recente fallimento di una sperimentazione clinica che valutava l’efficacia del Fingolimod, la prima terapia orale della Sclerosi Multipla, nelle forme primariamente progressive di malattia. Avevamo tutti sperato che questo farmaco avesse nelle forme progressive gli stessi vantaggi dimostrati nelle forme a ricadute e remissione. Lo studio INFORM, che è stato condotto in tutto il mondo, e ha coinvolto anche diversi centri italiani, benché negativo, ci ha fornito importanti informazioni, in particolare che in questa fase progressiva bisogna avere un approccio terapeutico del tutto diverso.
Ci sono anche altri farmaci in fase di studio per le forme progressive di malattia. Tra questi quello in fase più avanzata di studio è l’Ocrelizumab, un anticorpo monoclonale che distrugge i linfociti B, cellule che hanno un ruolo chiave nella immunità anticorpale, ma non solo. Anche il nostro centro è impegnato in questo studio. Ci sono poi sperimentazioni cliniche che riguardano farmaci già impiegati con successo nelle forme a ricadute e remissioni e ora testati nelle forme progressive. Uno studio riguarda l’efficacia del Natalizumab (Tysabri), un anticorpo che limita l’accesso dei linfociti nel cervello e che si somministra per via endovenosa. Un altro studio nelle forme progressive di malattia riguarda il Laquinimod, un farmaco molto interessante in quanto sembra possedere un’importante azione neuro protettiva.
E a che punto siamo con le cellule staminali? Voi sapete che il San Raffaele è stato nel mondo uno dei primi Centri di ricerca promotori di questa strategia terapeutica, anche se abbiamo dovuto affrontare diversi problemi burocratici. Nel nostro paese lo studio delle potenzialità terapeutiche delle cellule staminali è stato frenato dai problemi sollevati da Stamina, problemi che sembrano in fase di risoluzione dopo un periodo travagliato, anche per interventi fuori linea di alcuni magistrati in aperto contrasto con le decisioni del ministero della salute. La novità più importante dal punto di vista delle cellule staminali è la possibilità oggi di derivare dalla pelle dal singolo malato le cellule staminali necessarie per una cura, Questo è stato un cambiamento importante in quanto rende disponibili cellule che provengono dallo stesso malato per cui non vi è rischio di rigetto. Uno studio fatto dal gruppo del Dr. Gianvito Martino, uno dei più grandi ricercatori al mondo in questo ambito, ha fatto vedere che se noi prendiamo delle cellule staminali dalla pelle di un topino, gli induciamo la Sclerosi Multipla e gli re-iniettiamo le cellule staminali opportunamente trattate, il topino ha una malattia che viene quasi completamente controllata. Una sperimentazione clinica nell’uomo inizierà nel 2015 al San Raffaele. Prosegue inoltre la sperimentazione clinica multicentrica internazionale sulla sicurezza ed efficacia delle cellule staminali mesenchimali a cui partecipano tre centri italiani, ossia le Università di Genova e di Verona oltre al San Raffaele. La sperimentazione promossa dal professor Antonio Uccelli dell’Università di Genova è in fase molto avanzata avendo già reclutato una sessantina di pazienti. L’Unità di Neuroimmunologia diretta dal dr. Martino è molto impegnata anche nello studio del ruolo delle cellule gliali nella patogenesi della malattia. Luca Muzio e Cinzia Farina stanno in particolare studiando l’importanza di microglia e astrociti nelle forme progressive di malattia in quanto potrebbero essere un importante nuovo target terapeutico.
Se rivolgiamo la nostra attenzione alle terapie cui possiamo già accedere troviamo anche qui molte novità. Abbiamo nuovi farmaci, con profili d’azione molto particolari, di cui avevo parlato anche lo scorso anno. Un primo farmaco si chiama Teriflunomide, nome commerciale Aubagio. È un farmaco simile per certi aspetti all’Azatioprina, tuttavia è un’Azatioprina intelligente, essendo un farmaco immunosoppressore particolare. La causa fondamentale della SM è che alcune cellule del sistema immunitario, alcuni dei globuli bianchi, che fanno parte del sistema di difesa del nostro corpo, improvvisamente cominciano ad aggredire la mielina e la distruggono provocando i guai che ben conosciamo. La strategia terapeutica più semplice, pensata già circa cinquant’anni fa, è stata quella di mettere una sorta di bavaglio a queste cellule, cercando di sopprimerne l’attività, distruggendole. È chiaro che quando distruggiamo queste cellule, sopprimiamo sia le cellule che ci difendono dalle infezioni e dai tumori, sia quelle che ci fanno male perché responsabili di malattie autoimmuni. La Teriflunomide ha invece come target solo le cellule immunitarie molto vivaci, in fase di replicazione molto attiva. Questa replicazione accentuata avviene per le cellule che stanno montando una risposta immunitaria, è ciò che succede ai linfociti responsabili dell’attacco alla mielina. In questo modo si lascia essenzialmente intatto il sistema di difesa, mentre si eliminano selettivamente le cellule auto aggressive. Ovviamente la selettività d’azione non è perfetta per cui c’è qualche cattivo che viene scambiato per buono e qualche buono che fa la fine del cattivo. Qualche piccolo problema si può avere, ma chiaramente questo farmaco costituisce un importante progresso tecnologico. Abbiamo poi un altro farmaco, il di-metil-fumarato, il cui nome commerciale è Tecfidera, già approvato, che arriverà in commercio prima della fine dell’inverno, e una certa quantità di dosi è già disponibile per situazioni particolari. È un farmaco ad azione antinfiammatoria, ma, salvo in alcune situazioni particolari (10-15%), non ha una forte azione immunosoppressiva, quindi in qualche modo ha un’azione molto più potente dell’Azatioprina e anche un po’ più selettiva, ha il vantaggio di essere assunto per via orale; va però usato anche questo con una certa cautela perché incide in modo molto importante sulla funzione del sistema immunitario. Il terzo farmaco che sta arrivando sarà disponibile il prossimo anno ed è una specie di bomba atomica, ha un’azione di fortissima immunosoppressione. È infinitamente più potente dell’Azatioprina, e risponde alla legge che in condizioni di notevole aggressività della malattia occorre rispondere in modo proporzionale. E’ un farmaco che ci consente di affrontare problemi molto complicati o che si prospettano come tali nell’immediato futuro, grazie alle informazioni fornite da esami strumentali a valore prognostico come la risonanza magnetica e i potenziali evocati. Queste tecniche congiuntamente all’osservazione clinica ci consentono di prevedere evoluzioni negative della malattia e di agire in modo preventivo trattando in modo aggressivo. Questa è una strategia detta di induzione, molto intelligente per tanti motivi, ma che chiaramente richiede un uso estremamente accurato. Il poter adattare il nostro intervento terapeutico alle variabili condizioni della malattia costituisce la base della medicina personalizzata, la nuova frontiera terapeutica per le malattie complesse: minimizzare i rischi e massimizzare i benefici. Non siamo ancora perfettamente in grado di farlo. Tuttavia possiamo cominciare a ragionare avendo un obbiettivo ambizioso : il controllo completo della malattia. Per raggiungere questo obbiettivo è stato coniato un nuovo termine, che viene dalla lingua inglese ed è definito NEDA (Non Evident Disease Activity, non evidenza di attività di malattia). Oggi il nostro obiettivo è che la persona in futuro non dovrà avere neanche la più piccola nuova lesione. È un obiettivo estremamente ambizioso, che possiamo perseguire con una buona probabilità di successo quando interveniamo all’inizio della malattia. Non a caso parliamo di equilibrio tra benefici e rischi di un trattamento. Diffidate totalmente da chi vi propone delle terapie che fanno bene senza la possibilità di provocare alcun problema, perché, se devo sradicare un male dal corpo di una persona, qualche problema devo darlo, un po’ come accade negli interventi chirurgici in cui vengono eliminate delle porzioni di tessuto per cercare di curare una persona. Solo gli imbroglioni possono affermare di essere in grado di risolvere i problemi in modo indolore. La realtà è che noi dobbiamo risolvere i problemi cercando di usare un’ottimale bilancia tra vantaggi e svantaggi.
Abbiamo qualche novità anche per quanto concerne il trattamento delle forme progressive di malattia. In assenza di una terapia in grado di modificare il decorso di questa fase di malattia è bene che si cerchi di ottimizzare il trattamento delle complicazioni che questa fase comporta. Gli studi della professoressa Leocani hanno dimostrato che con la stimolazione magnetica transcranica è possibile poteziare la plasticità cerebrale, in particolare associandola all’esercizio fisico. E’ in corso un nuovo studio in cui la stimolazione magnetica viene combinata con un farmaco a base di cannabinoidi, il Sativex, entrato in uso da poco, utile in circa i due terzi dei malati per migliorare alcuni disturbi come la spasticità e pure attivo nei meccanismi di plasticità sinaptica. Da qui l’idea di combinare insieme questi due interventi, unitamente all’esercizio fisico. Un’altra strada è quella della recente disponibilità sul mercato di di un preparato a lento rilascio della 4-aminopiridina, chiamato fampiridina (Fampyra). Uno studio ancora una volta condotto qui al San Raffaele ha dimostrato che il farmaco è assolutamente attivo nel ridurre la spasticità in pazienti con difficoltà di cammino.
Prima di prescrivere un qualsiasi trattamento a un paziente è fondamentale discutere con lui delle proprietà del trattamento, dei potenziali vantaggi, degli eventuali rischi e dei fastidi che può provocare. E’ questo un tema complesso che inizia con la comunicazione della diagnosi e delle conseguenti implicazioni terapeutiche. In questo ambito è di grande rilevanza una serie di studi coordinati dal Dr. Vittorio Martinelli, per comprendere come ottimizzare la comunicazione e la condivisione delle scelte terapeutiche.
Con questa rapida e vastamente incompleta carrellata sulle novità in tema di sclerosi multipla dell’anno che si sta per concludere, spero di aver contribuito almeno un po’ a darvi elementi di valutazione in merito a qualcosa che vi sta di certo particolarmente a cuore. Credo che sia evidente a tutti come curare bene sia complicato. Abbiamo bisogno di un continuo aggiornamento da parte di tutti gli operatori sanitari e di un’organizzazione efficiente perché i pazienti possano al massimo beneficiare dai progressi della ricerca scientifica, che sono stati molti e importanti. Organizzazione ed efficienza sono elementi fondamentali. La costante attenzione alle esigenze del paziente, la disponibilità ad ascoltarne i problemi e le richieste, l’empatia come strumento di relazione non debbano essere sostitutivi di un’alta professionalità che si consegue solo col costante aggiornamento. Cari pazienti vi invito a tenere conto di questo e ad essere pronti a cogliere le inefficienze, perché noi possiamo migliorare il nostro modo di agire solo se voi ci fate capire dove sbagliamo. E noi sbagliamo sicuramente tutti i giorni. Lasciatemi finire ringraziando questo gruppo meraviglioso di persone impegnate nella ricerca e nell’assistenza, che ho avuto la fortuna di costruire e coordinare qui al San Raffaele, un gruppo che ci è invidiato in tutto il mondo. Dico questo perché penso sia importante per un malato sapere in quali mani mette ogni giorno la propria salute, la propria vita, il proprio futuro.
Grazie e tanti auguri.