Intervento del Professor Comi all’incontro con i pazienti del 16 Dicembre 2007
Resoconto dell’intervento del Prof. G. Comi all’incontro ACeSM del Natale 2007
Voglio innanzitutto salutare tutti voi che siete qui perché in realtà ci fate un regalo con la vostra presenza che ci fa sentire circondati da una calda attenzione per le nostre ricerche. Quest’anno abbiamo dovuto cambiare la sede dell’incontro di Natale con i pazienti in quanto lo scorso anno l’aula San Paolo era risultata troppo piccola per contenervi tutti. Temevo di aver ecceduto nelle aspettative, ma mi sbagliavo. Dividerò questo incontro in due fasi, nella prima mi soffermerò sui principali risultati della ricerca sulla Sclerosi Multipla cercando di mettere in evidenza il contributo fornito dal nostro centro, poi sarete voi i protagonisti e mi potrete fare tutte le domande che ritenete più opportune e interessanti, però con una limitazione, le domande non dovranno riguardare problemi personali di salute. (Omesse in questa trascrizione)
Per quanto riguarda la Ricerca in tema di SM, quello passato è stato un anno molto intenso, sia nel campo delle nuove cure, sia in quello degli studi su come la patologia si sviluppi e sul perché in alcuni pazienti assuma un decorso progressivo. La causa o le cause della malattia sono tuttora ignote, ma si sa con certezza che la patologia ha una componente genetica. Infatti se noi prendiamo in considerazione due gemelli identici –che quindi hanno un patrimonio genetico pressoché identico- la probabilità che se un gemello è affetto da SM anche l’altro sviluppi la malattia è del 30% circa. Ciò significa che esiste qualcosa nel genoma che facilita l’insorgere della Sclerosi Multipla e/o qualcosa che protegge dalla malattia; la componente genetica non è tutto, altrimenti il rischio di sviluppo di SM in un gemello identico di un soggetto malato sarebbe del 100%.
Nell’estate passata sono stati conclusi due studi di enormi proporzioni circa la genetica della Sclerosi Multipla. Uno studio era condotto da una “cordata” di ricercatori statunitensi, l’altro da una “cordata” europea. Entrambi i gruppi sono giunti alle stesse conclusioni: anche nei pazienti senza casi di SM in famiglia c’è una componente genetica alla base della patologia ed inoltre si sono fatti sostanziali passi in avanti nell’individuare i fattori genetici associati alla malattia. Esiste infatti una serie di proteine, citochine e chemochine, che sono normalmente utilizzate dalle cellule del sistema immunitario per scambiarsi informazioni utili nella lotta che questa cellule compiono ogni giorno contro virus e batteri. Queste citochine per svolgere la loro attività agiscono su dei recettori situati sulle cellule del sistema immunitario, delle specie di toppe per la chiave, dove la chiave è la citochina. Toppa e chiave che servono per aprire e chiudere la stessa porta possono presentare minime variazioni da individuo a individuo che le rendono più o meno funzionanti. Ciò spiega l’enorme variabilità interindividuale e questa variabilità è alla base di una minore o maggiore suscettibilità alla malattia. Il gruppo di ricercatori del San Raffaele è stato uno dei gruppi leader nell’ambito della “cordata” europea. Qualche mese fa le due squadre -Europea e Statunitense- si sono incontrate a Cambridge con l’obiettivo di unire gli sforzi e approfondire gli studi in questo ambito, per chiarire meglio i risultati finora ottenuti. Nell’ambito di queste ricerche ad alcuni dei pazienti che sono in cura al San Raffaele verrà richiesto di eseguire il prelievo di una piccola quantità di sangue per ulteriori analisi genetiche, che in questo stesso momento sono in corso, in maniera coordinata, in centri di tutto il mondo.
E’ sempre più chiaro che la genetica gioca un ruolo nello sviluppo della Sclerosi Multipla, ma è altrettanto chiaro che da sola non è sufficiente a dare origine alla malattia. Da anni si dà quindi la caccia ad un fattore ambientale che possa contribuire a portare ad ammalarsi di SM. In merito un gruppo di ricercatori dell’Istituto italiano Superiore di Sanità ha scoperto che nelle meningi –un involucro che avvolge il cervello- dei pazienti con Sclerosi Multipla avanzata si formano dei “noduli” composti da un gruppo di cellule, noduli che sono molto simili a quei linfonodi ingrossati e infiammati che si possono a volte palpare all’ascella o all’inguine. Forse questi noduli giocano un ruolo nel provocare la fase progressiva della SM, quella più difficile da controllare. Questo ruolo potrebbe essere legato al fatto che i noduli si trovano in stretta vicinanza con la corteccia e potrebbero determinare un attacco infiammatorio locale con danno diretto alla corteccia, una della zone più importanti e raffinate del cervello. Nella maggior parte di questi noduli inoltre è stato ritrovato un virus, lo stesso responsabile della cosiddetta “malattia del bacio”, chiamata così perché la malattia è molto frequente negli adolescenti e viene trasmessa per via orale. Il riscontro della presenza di questo virus nei noduli delle meningi potrebbe voler dire che il virus gioca un ruolo nella fase progressiva della malattia o forse addirittura nello sviluppo iniziale della patologia.
L’analisi finora fatta dei successi della ricerca fa capire come nella storica dicotomia gene/ambiente alla base della malattia siano stati fatti passi avanti in entrambi i campi. Queste scoperte sono importanti perché la risposta o meno a una terapia dipende dalle caratteristiche, anche genetiche, della singola persona. Una linea di ricerca, perseguita anche dal nostro Ospedale, riguarda proprio il costruire una terapia individuale sul singolo malato. Finché non si sa da cosa dipenda la responsività o meno a un trattamento (cioè l’efficacia di un trattamento sul singolo soggetto) ci si deve basare, nel curare il paziente, su una serie di tentativi, di prove e ricerca di conferme. Se si avesse in anticipo una “fotografia” del malato si potrebbe sapere se il paziente in questione risponderà o meno a una terapia. Questa è la medicina del futuro, in cui si tiene conto che tra di noi siamo tutti talmente differenti che anche la risposta ai trattamenti è diversa.
Una seconda linea di Ricerca sviluppata dall’Istituto concerne lo studio dei meccanismi di danno del sistema nervoso da parte della malattia. Si tratta principalmente di ricerche incentrate sull’uso della risonanza magnetica coordinate dal dottor Filippi.La RM è una tecnica che non espone il paziente a rischi, tanto che potrebbe essere effettuata anche giornalmente. Essa offre informazioni non ottenibili dalla visita neurologica. A dicembre si è concluso al San Raffaele un convegno su alcune nuove tecniche avanzate di analisi dei segnali in risonanza che consentono di valutare l’entità del danno delle varie vie nervose. .Una prima applicazione di queste tecniche consiste nella possibilità di orientare un intervento riabilitativo in base alla disponibilità o meno di vie alternative a quelle danneggiate dalla malattia.
Studiando con la RM il cervello e il midollo dei pazienti poi si è visto che qualche volta già al primo attacco di malattia ci sono segni di un danno in più punti del sistema nervoso. Questi danni molteplici non avevano dato segno di sé perché le lesioni erano piccole o, magari, perché erano in punti del sistema nervoso che vengono utilizzati poco o che vengono sostituiti, se danneggiati, da altre aree. La presenza di un danno precoce richiama l’opportunità di un intervento terapeutico precoce per evitare che al danno già instaurato se ne sovrappongano altri. Quando ci si accorge -e si è sicuri- che il paziente è affetto da Sclerosi Multipla ogni ritardo nell’iniziare il trattamento è incomprensibile e fonte potenziale di danni per il malato. Se voglio proteggere la mia casa dai ladri è bene che installi un sistema d’allarme senza aspettare che i ladri la visitino!
Esistono neurologi che hanno un atteggiamento “conservatore” nei confronti della cura della Sclerosi Multipla: si attende a curare dato che non è sempre detto che un attacco o più possano produrre danni gravi. A costoro rispondono i risultati di uno studio pubblicato nell’ultimo anno, lo studio BENEFIT, in cui i pazienti sono stati divisi in due gruppi: un gruppo è stato trattato dopo il primo attacco con interferone beta 1b, mentre l’altro gruppo ha atteso la comparsa del secondo attacco o se non lo ha avuto ha atteso 2 anni per iniziare la terapia. Dopo tre anni si è andato a vedere se i pazienti del primo gruppo stessero meglio di quelli del secondo. Il confronto tra i due gruppi ha dimostrato che coloro che hanno avuto sùbito il trattamento risultavano significativamente meno disabili rispetto a coloro che hanno dovuto attendere un secondo episodio di malattia. Perdere tempo nel trattare un malato di SM è dunque sbagliato. Se si cura presto si previene il danno, se si cura alla prima avvisaglia si hanno risultati ancora migliori.
Al momento i farmaci approvati e utilizzabili per la terapia della SM sono: Interferoni, Copolimero, Mitoxantrone, e un farmaco che è stato reso disponibile per la prima volta quest’anno: il Natalizumab (nome commerciale Tysabri). Quest’ultimo è una farmaco che ha un’efficacia all’incirca doppia rispetto all’interferone, ma che è stato rallentato nel suo sviluppo dal fatto che nella fase di sperimentazione aveva dato problemi di effetti collaterali, rari ma gravi. Quando si parla di efficacia doppia non bisogna tuttavia dimenticare che si sta ragionando in termini di media, mentre noi curiamo i singoli pazienti. Con il Natalizumab si ha un vantaggio medio del 60%, ma molti pazienti stanno ugualmente bene anche con l’interferone, col vantaggio di effetti collaterali minori. Il concetto ancora una volta è che la forza della terapia deve essere proporzionale alla forza della malattia.
Un’ultima linea terapeutica possibile è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, il cosiddetto trapianto di midollo. Si utilizzano delle cellule selezionate da un ampio campione di sangue prelevato dal paziente dopo che il midollo osseo è stato indotto a produrre e liberare in circolo cellule progenitrici delle normali cellule che troviamo nel sangue. Si fanno quindi crescere queste cellule staminali si selezionano quelle che non danno origine a cellule immunitarie “cattive” e le si re-immette nel soggetto, sperando che non diano origine nuovamente a globuli bianchi ancora aggressivi contro la mielina. Prima di reimmetterle nel paziente che è quindi allo stesso tempo donatore e ricevente, si fa un’intensa terapia immunosoppressiva con l’obiettivo di annientare il sistema immunitario che ha assunto un atteggiamento di aggressione verso la mielina. Il nuovo sistema immunitario creato in sostituzione del precedente non dovrebbe più esercitare attacchi contro la mielina ed infatti questo avviene in una buona parte, ma non in tutti i pazienti. Questo intervento non è privo di rischi, anche mortali in qualche caso estremo, per cui deve essere utilizzato con parsimonia e in casi specifici. Presso il San Raffaele è allo studio un protocollo più leggero di trapianto di midollo proprio per diminuire i rischi.
Oltre a queste terapie già disponibili, ve ne sono numerose altre che sono arrivate a diversi livelli di sviluppo. Va qui ricordato che molti pazienti contribuiscono allo sviluppo di questo tipo di ricerche accettando di partecipare alle sperimentazioni cliniche. Ciò è fondamentale e lodevole perché è una prova della bontà d’animo dei malati: io, paziente, so quanto pesa la mia malattia e so che partecipando attivamente alla ricerca posso fare qualcosa non solo per me, anche per altri che soffrono della stessa patologia. Faccio qualcosa di positivo che in futuro sarà utile non solo a me. In questo caso il rapporto paziente/dottore diventa un patto d’acciaio per la cura contro la malattia.
Molte delle nuove medicine in studio presentano il vantaggio di essere assunte per bocca: un grande passo avanti per migliorare la qualità della vita dei pazienti che di solito non amano molto fungere da puntaspilli. Al momento quattro farmaci somministrati per via orale sono in fase di sperimentazione avanzata, la cosiddetta fase III. Una di queste sperimentazioni cliniche si concluderà all’inizio del prossimo anno, mentre le altre si chiuderanno tra inizio 2009 e fine 2010. Comunque si può stimare con fiducia che nell’arco di un anno e mezzo o due saranno disponibili nuove cure. Queste cure si pongono un obiettivo più alto di quello di interferoni e copolimero: l’obiettivo è quello di ridurre di 2/3 il numero di ricadute e di proteggere anche dalla progressione secondaria della malattia.
Voglio chiudere il mio intervento toccando un punto che sta molto a cuore ai pazienti e ai loro familiari: la ricerca sulle cellule staminali. Un individuo si sviluppa a partire dall’embrione che nasce dalla fusione dello spermatozoo con l’uovo. Nello sviluppo le cellule continuano a moltiplicarsi e a differenziarsi nei diversi tessuti. Nelle fasi iniziali di sviluppo la cellula è “totipotente” cioè ha in sé le capacità di divenire qualunque elemento del corpo: cellula ossea, cellula cardiaca, cellula muscolare, eccetera, anche, ovviamente, cellula del sistema nervoso, il neurone. Alcune di queste cellule con possibilità di differenziarsi, le cellule staminali appunto, permangono nel nostro corpo. Se nella vita adulta il corpo va incontro ad un danno (ad esempio ci si fa male ad un muscolo) la cellula staminale muscolare rigenera il muscolo. La stessa cosa avviene anche a livello del sistema nervoso, ma in misura minore e con più difficoltà rispetto a quanto avviene in altri tessuti, nel muscolo o nel fegato per esempio. Per danni non molto gravi tuttavia le cellule staminali nervose potrebbero essere utili.
Esistono quindi due vie di approccio alla terapia con cellule staminali nella Sclerosi Multipla. Una prima via è utilizzare farmaci che stimolino le staminali nervose ad attivarsi e a differenziarsi in neuroni. Una seconda via è quella di inserire nel corpo altre cellule staminali che possano differenziarsi in neuroni. La seconda opzione, cioè il trapianto di cellule staminali, è allo studio in diversi Centri, tra cui il nostro. A proposito si possono utilizzare varie cellule, anche se in Italia non si possono utilizzare quelle che derivano dagli embrioni, mentre è possibile ricorrere a cellule che derivano da aborti. Da una cellula, attraverso opportune procedure, si possono ricavare milioni di elementi. L’idea (sviluppata anche al San Raffaele, dell’equipe del Dr. Martino e del Dr. Pluchino) è quella di isolare queste cellule, moltiplicarle e utilizzarle per recuperare il danno a livello del sistema nervoso centrale. Al momento presso il San Raffaele sta per iniziare la fase di sperimentazione delle cellule staminali neurali in pazienti con alcune forme speciali di sclerosi multipla. In questa prima fase si andrà a valutare soprattutto la sicurezza di un intervento del genere. Il problema è infatti che si inseriscono nel corpo delle cellule vive, il rischio è quindi che possano creare danni, ad esempio creare tumori. Negli animali sappiamo che si tratta di una terapia abbastanza sicura, ma nell’uomo possiamo dire lo stesso?
La sperimentazione avverrà attraverso una terapia a scalare, si inizierà inserendo poche cellule, se l’intervento sarà ben tollerato se ne inseriranno di più, se non insorgeranno problemi se ne utilizzeranno ancora di più e così via. Ogni giorno al nostro Centro riceviamo telefonate di persone che vogliono partecipare alla sperimentazione. Occorre utilizzare le cellule in assoluta tranquillità quindi occorre selezionare bene la procedura e i candidati. L’obiettivo è di provare, nel giro di tre anni, l’utilità di questo trattamento.
In studio attualmente c’è un’altra modalità di utilizzo delle cellule staminali, messa a punto dal dott. Uccelli e dal prof. Mancardi a Genova. In questo caso si utilizzano cellule staminali derivate non dal sistema nervoso ma dal sangue, cellule staminali ematopoietiche. Ad oggi solo in Israele e in Iran è stata iniziata la sperimentazione sull’uomo di questo tipo di cellule. Oltre all’Italia stanno per partire sperimentazioni cliniche in altri due centri: negli Stati Uniti ad Harvard e in Inghilterra a Cambridge. Queste sono le uniche sperimentazioni cliniche serie. Le altre in cui ci si può imbattere ricercando su internet o leggendo il giornale non sono controllate e quindi sono rischiose, inutili o pericolose.
Voglio toccare un ultimo argomento che è di estremo interesse perché riguarda la riabilitazione. La riabilitazione è molto importante ma a volte si fatica a convincere il paziente a intraprendere questa strada. La riabilitazione funziona solo se si riesce a modificare il comportamento del cervello. Il cervello non è una macchina immutabile, si modifica ogni giorno perché cambiano i collegamenti tra le cellule. Perché la riabilitazione funzioni occorre che si facciano sì manipolazioni su una gamba o su un braccio, ma con il fine di provocare effetti sul cervello, potenziando i collegamenti integri tra i centri nervosi, in modo da sostituire i collegamenti danneggiati. Per ottenere un risultato del genere l’intervento fisioterapico deve essere continuativo, e non bastano poche ore alla settimana.
Come potrete desumere da questa relazione vi sono una serie di buoni motivi per essere entusiasti nei confronti della ricerca sulla sclerosi multipla: sono in arrivo una serie di nuovi strumenti per curarsi bene e per riparare i guasti già provocati dalla malattia. E’ però fondamentale nel processo terapeutico la partecipazione del paziente che, se decidesse di non curarsi e accettare passivamente la sua malattia, si comporterebbe come chi, avendo dei numeri vincenti al Lotto, scegliesse di non giocarli.