TERAPIA FARMACOLOGICA DELLA SCLEROSI MULTIPLA:IL PRESENTE E IL (PROSSIMO) FUTURO.

Dopo la conclusione del recente 23° congresso Europeo sulla ricerca e il trattamento nella sclerosi multipla (SM), tenutosi a Praga dall’11 al 14 ottobre, è apparso evidente che lo stato dell’arte della terapia farmacologica della SM consta ormai sia di realtà consolidate che di prospettive potenzialmente destinate a concretizzarsi in un futuro prossimo. Il congresso ECTRIMS ha visto la presentazione di numerosissimi contributi relativi alle sperimentazioni di nuove terapie, ma anche alla analisi approfondita di aspetti clinici e paraclinici relativi alle terapie immunomodulanti ed immunosoppressive già in uso da oltre 10 anni. In questo contesto, gli aspetti a mio avviso più rilevanti possono essere suddivisi, per la loro disamina, in tre categorie principali.

Terapie immunomodulanti ed immunosoppressive “consolidate”. Di questa categoria fanno parte gli interferoni (IFN), il glatiramer acetato o Copolimero I (GA) e gli immunosoppressori di origine chemioterapia (mitoxantrone e ciclofosfamide). Tutti questi farmaci sono di uso abituale nella terapia della SM e sono accomunati dalla modalità di somministrazione (per iniezione). Al congresso ECTRIMS sono stati presentati numerosi studi cosiddetti “post marketing” che hanno confermato la sostanziale efficacia di queste terapie anche al di fuori del contesto dei trial clinici che hanno condotto alla loro approvazione. Tale efficacia è da intendersi tuttavia come controllo quasi sempre non completo della malattia, di grado estremamente variabile da un paziente all’altro e con possibili cambiamenti nel senso di perdita di efficacia dopo periodi di trattamento di differente durata. La ricerca in tal senso si sta sempre di più orientando verso l’identificazione di fattori predittivi della possibile risposta a queste terapie, che guidino nella scelta iniziale, ma anche nella precoce modifica di una strategia in caso di inefficacia. E’ degno di nota che ben due studi comparativi tra GA e IFN (i trial BECOME e REGARD) abbiano mostrato una sostanziale equivalenza tra i due tipi di farmaci durante un periodo di circa due anni, sia per quanto riguarda la riduzione delle ricadute di malattia che per quanto riguarda la riduzione della attività alla risonanza magnetica (RM). Un altro aspetto sottolineato da evidenze crescenti è che l’inizio precoce della terapia interferonica ne ottimizza l’efficacia. In tale contesto è in fase iniziale una sperimentazione sull’utilizzo di diverse dosi di IFN in pazienti al primo episodio clinico suggestivo di SM (studio REFLEX), a cui parteciperà anche il Centro SM dell’Ospedale San Raffaele. Per quanto riguarda gli IFN, infine, sono stati presentati diversi studi che confermano l’utilizzo del dosaggio di anticorpi neutralizzanti il farmaco come indicatori di diminuita efficacia. E’ stata inoltre smentita la precedente segnalazione di una possibile interazione negativa tra IFN e statine.

Terapie orali. Tra i problemi legati all’utilizzo delle terapia immunomodulanti ed immunosoppressive già disponibili, oltre alla parziale ed altamente variabile efficacia occorre considerare la modalità di somministrazione per iniezione, gravata da effetti collaterali e da potenziali difficoltà di compliance. Per questo motivo lo sviluppo di terapie orali ha visto un notevole incremento negli ultimi 5 anni. In questo contesto, diverse molecole (fingolimod, teriflunomide, laquinimod, BG00012 [fumarato] e cladribina) sono giunte o sono prossime alla fase III della loro sperimentazione clinica, sia da soli che in associazione con IFN, per il trattamento della SM a remissioni e recidive.

Terapie con anticorpi monoclonali. Dal marzo 2007, natalizumab è il primo anticorpo monoclonale approvato in Italia per la terapia della SM non responsiva ad altri trattamenti, secondo linee guida stilate basandosi su standard internazionali. Al congresso ECTRIMS sono stati presentati i risultati preliminari dei programmi di sorveglianza della sicurezza di questo trattamento, iniziati a livello internazionale dopo la temporanea sospensione legata al verificarsi di 2 casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) in pazienti partecipanti al trial di combinazione IFN + natalizumab. Tali programmi hanno confermato che natalizumab in monoterapia sembra essere sicuro (nessun caso segnalato di PML) e ben tollerato, ma questi dati necessitano ovviamente di conferme a lungo termine. Degna di nota la segnalazione che anche gli anticorpi neutralizzanti natalizumab (che si possono sviluppare nel 5% dei pazienti) portano ad una diminuita efficacia della terapia.

Accanto a natalizumab, altri 3 anticorpi monoclonali sono in fase di sperimentazione per un utilizzo come terapia della SM. Si tratta di alemtuzumab, daclizumab e rituximab. Alemtuzumab sarà a breve oggetto di una sperimentazione di fase III per testarne l’efficacia comparata con quella di IFN ad alte dosi. Daclizumab è stato testato in associazione con IFN, ma lo studio è tuttora in corso. Rituximab sarà a breve oggetto di un trial di fase III nella SM a remissione e recidive, ma anche di uno studio preliminare (ossia di fase II) in pazienti con SM primariamente progressiva.

Oltre ai tre grandi capitoli di cui sopra, voglio ricordare la crescente evidenza scientifica a supporto della immunosoppressione “radicale” con successivo trapianto di midollo autologo come terapie per casi di SM “maligna”, la cui efficacia e (relativa) sicurezza è stata sottolineata da studi condotti in diversi paesi in maniera indipendente.

Siamo quindi di fronte ad uno scenario in continua evoluzione, ma all’interno del quale incominciano ad intravedersi alcuni “punti fermi”. Ne deriva un invito ai pazienti a non “rincorrere” a tutti i costi strategie alternative di presunta efficacia, bensì ad affidarsi alle proposte dei neurologi che si interessano di questa malattia, che sanno ormai di avere a disposizione strategie adattabili alle realtà individuali in maniera molto più specifica che in un passato non così lontano.

  1. NB. Per chi non lo ricordasse, ecco un breve chiarimento sulla differenza tra studi di fase 2 e studi di fase 3.

Gli studi di fase 2 valutano l’efficacia di un farmaco su misure paracliniche della attività di malattia (nel caso della SM le lesioni captanti o attive in RM), durano di solito 6-12 mesi e, se positivi, aprono la strada agli studi di fase 3. Questi ultimi sono necessari alla approvazione finale del farmaco e ne valutano l’efficacia su parametri principalmente clinici (nel caso della SM, frequenza delle ricadute ed accumulo di disabilità), per un periodo di tempo variabile

tra 1 e 3 anni.

Dott. Marco Rovaris

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