PARADIGMS: il primo trial clinico condotto nella SM pediatrica

Al recente congresso internazionale EAN (European Academy of Neurology) che si è tenuto a Lisbona agli inizi di giugno sono stati presentati i risultati completi di neuroimmagine dello studio PARADIGMS, il primo trial clinico condotto nella SM pediatrica. In questo studio soggetti con esordio della malattia prima dei 18 anni d’età erano “sorteggiati” a ricevere come terapia Fingolimod oppure Interferone, valutando l’effetto del trattamento dopo 2 anni di follow up. Al termine di questo periodo di osservazione è stato osservato che i soggetti trattati con fingolimod presentavano una significativa e rilevante riduzione delle ricadute (pari al 82%), ed un altrettanto rilevante e significativa riduzione delle lesioni riscontrate all’esame di Risonanza Magnetica: riduzione delle lesioni, riduzione del loro volume, riduzione dello sviluppo di atrofia.

Si tratta di uno studio molto importante, per diversi motivi:

  1. innanzitutto risulta questo essere il primo trial clinico condotto nella popolazione pediatrica con SM; si consideri che fino ad ora gli unici dati in ambito terapeutico erano ottenuti con studi osservazionali, con le numerose limitazioni metodologiche insite in questo tipo di studi,
  2. inoltre lo studio ha dimostrato un’efficacia straordinaria del farmaco fingolimod, rispetto a quella che si ritiene correntemente una delle terapie standard per la fascia pediatrica, vale a dire l’Interferon-beta, superiore rispetto a quanto ci si sarebbe dovuto aspettare dai dati ottenuti nell’adulto,
  3. terza osservazione: questo studio rinforza il concetto che occorre trattare precocemente e con le armi più incisive,
  4. quarta osservazione: si è ottenuta la dimostrazione che è possibile condurre trials clinici anche in una popolazione difficile come quella pediatrica.

I risultati dello studio PARADIGMS hanno portato l’agenzia nord-americana FDA ad autorizzare il farmaco Fingolimod per il trattamento della SM pediatrica. L’iter registrativo è in corso anche in Europa e nei paesi europei.

I risultati dello studio hanno richiamato l’attenzione sulla SM pediatrica, e sono anche il frutto dell’aumentato interesse che il mondo scientifico ha prestato negli ultimi anni per questa forma particolare di SM. Ne richiameremo di seguito gli aspetti più caratteristici.

E’ noto che la SM esordisce tipicamente tra i 20 e 40 anni. Nell’età pediatrica, che è definita dal limite di età di 18 anni, la SM è poco frequente, tuttavia non è così rara, dal momento che, in quasi il 10% dei casi la malattia può avere la sua prima presentazione prima dei 18 anni. In questi casi l’andamento è spesso più vivace e tumultuoso, con una maggiore frequenza di episodi acuti rispetto alla forma dell’adulto, espressione di una più intensa componente infiammatoria. Nonostante ciò, tuttavia, i meccanismi di recupero e di compensazione risultano più attivi nel giovane, rispetto a soggetti di età più avanzata, con l’effetto di condurre a una minore compromissione delle condizioni neurologiche. Ne risulta che l’intervallo di tempo per arrivare ai livelli di disabilità moderata o severa sono più protratti, rispetto alla forma dell’adulto (di circa 10 anni). Tuttavia questi stessi livelli di disabilità sono raggiunti ad un’età minore, mitigando quindi in parte il giudizio di “maggiore benignità”.

Queste osservazioni supportano ulteriormente il concetto di “trattamento precoce”: se si interviene precocemente, fin dalle prime manifestazioni di malattia, e in età giovanile, si ha la possibilità di intervenire in una fase in cui il danno è minore, in cui l’infiammazione è predominante (e questo è il target su cui intervengono i farmaci), e in cui i meccanismi di recupero sono maggiori. Lo studio PARADIGMS dà ragione a questa visione.

Per la forma pediatrica si parla di forma più “attiva e vivace”. Questo aspetto lo si può vedere già anche all’esordio, non sono infatti rari i casi in cui la malattia si presenta in forma di encefalomielite acuta (nota con la definizione di ADEM).

Studi recenti, ai quali i gruppi di ricerca italiani hanno dato consistenti contributi, hanno messo in evidenza come già precocemente possano emergere segni di disfunzione cognitiva, come questi possano anche rapidamente intensificarsi nelle prime fasi di evoluzione di malattia, per poi assestarsi e anche parzialmente regredire. E’ un fenomeno, questo, che ben si accorda con il concetto di maggiore plasticità e di maggiore capacità di compensazione che caratterizzano la forma pediatrica. L’emergere di elementi di disfunzione cognitiva sottolinea l’importanza di prestarvi attenzione, al fine di erogare i necessari supporti assistenziali.

E ciò anche in relazione alle problematiche psicosociali che la malattia comporta. Ricevere la diagnosi di SM è sempre un momento devastante nella vita delle persone che ne sono affette, che sono chiamate a resettare il loro mondo di emozioni e relazioni, e a ridisegnare la loro prospettiva di vita. Ciò è a maggior ragione importante nei soggetti più giovani, quando gli strumenti per fronteggiare le sfide che la malattia impone sono ancora più acerbi. Numerosi osservazioni hanno posto in evidenza gli effetti altamente destabilizzanti della diagnosi sui genitori, sollecitando la necessità di mettere in atto idonei presidi di supporto la famiglia.

Per concludere, è emersa negli ultimi anni una maggiore attenzione verso la forma pediatrica di SM, la cui entità clinica è ora definita e riconosciuta: si consideri che la forma pediatrica è ora inclusa tra le forme di SM, a partire dalla revisione dei criteri diagnostici del 2010.

La maggiore attenzione ha comportato uno straordinario nuovo interesse degli studi scientifici, per meglio caratterizzarne gli aspetti clinici e patofisiologici. Trattandosi di forma in cui la malattia è assai più vicina al suo effettivo esordio e in cui l’esposizione ai fattori ambientali e (teoricamente) meglio misurabile, la SM pediatrica offre la possibilità di meglio studiare i possibili fattori esogeni (o ambientali, vedi l’esposizione a fumo di sigaretta, o ai raggi solari) o endogeni (ad esempio l’obesità o i livelli di vitamina D) che ne influenzano l’esordio e lo sviluppo.

Come ultima osservazione, voglio sottolineare come i gruppi italiani siano estremamente attivi in questa area di ricerca , con studi clinici, epidemiologici, di neuroimmagine, ponendoli in posizione di prestigio a livello internazionale.

Professor Angelo Ghezzi

Responsabile Ricerca Scientifica

Centro Studi S.M. Ospedale di Gallarate

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